I riflettori sulla Gindi Fashion Week si erano spenti da poche ore e ci eravamo svegliati di buon mattino per dirigerci verso Gerusalemme, sotto un cielo grigio e una pioggia torrenziale.
Per noi era l’ultimo giorno in Israele e non potevamo certo lasciarci scappare l’occasione di visitare la città eterna per eccellenza, ricca di millenni di storia, luogo ambito e conteso da popoli e culture, meta da sempre di spedizioni militari, cavalleresche, ricerche di tesori e grand tour e pellegrinaggi…
Perché Gerusalemme non è solo la Capitale di Israele. Considerata idealmente al centro del Mondo, celebrata e adorata come una giovane sposa, è Capitale spirituale delle tre religioni monoteiste (cristianesimo, ebraismo ed islam) e ospita luoghi di grande valore storico, mistico e sacro per ciascuna di esse ( basti pensare, solo per citarne alcuni simbolo, al Muro del Pianto, alla spianata delle Moschee e al Santo Sepolcro).
Ogni pietra di ogni casa, di ogni tempio o chiesa, di ogni edificio racconta una storia, che noi, nostante la pioggia battente, desideravamo conoscere o, se non altro, viste le poche ore a nostra disposizione, scoprire quella dei luoghi più simbolici della città.
Abbiamo passeggiato per l’ordinato quartiere ebraico attraverso il CARDO, l’antica strada romana, quella principale 1400 anni fa, della Città Vecchia, all’interno delle mura. Tra un colonnato del 6° secolo e una parte coperta da soffitti a volte medievali, ci siamo ritrovati improvvisamente a camminare nel shuk arabo, ovvero il mercato, caratterizzato da profumi di spezie di ogni colore, di dolci della tradizione araba, botteghe di souvenirs per pellegrini, vestiti scintillanti perfetti per la danza del ventre, caftani, narghilé, oggetti in argento, gioielli, sciarpe, il tutto in una caotica atmosfera mediorientale.
In corrispondenza del shuk, siamo passati attraverso la Via Crucis, conosciuta lì come la VIA DOLOROSA, la strada che, secondo il Vangelo, avrebbe attraversato Gesù in direzione del Golgota, dopo essere stato condannato da Ponzio Pilato. Da 1000 anni i pellegrini cristiani si fermano in ciascuna delle 14 stazioni che scandiscono il percorso delle ultime ore di vita di Gesù, dal Praetorium fino al Santo Sepolcro. Secondo la tradizione la Basilica del Santo Sepolcro è stata costruita in corrispondenza del luogo della crocifissione di Gesù e della sua sepoltura. Secondo la leggenda sarebbe stata Elena, la madre dell’Imperatore Costantino a riscoprire “la vera croce” e ad insistere per far costruire un nuovo tempio sulle rovine di un luogo di culto di origine paleocristiana, che era stato a sua volta sostituito da un tempio pagano, fatto erigere dai romani per impedire pratiche cristiane.
Il Santo Sepolcro, dalle mille vicissitudini storiche e architettoniche, è il luogo simbolo per eccellenza di tutta la cristianità e della maggior parte delle sue confessioni (dai Cattolici, agli Ortodossi, ai Copti, i Siriaci, gli Etiopi…), che controllano tutte insieme la chiesa e si dividono le varie celebrazioni, con rituali e momenti di preghiera diversi tra loro. E’ interessante vedere come molte pratiche siano a metà tra religione e superstizione, come l’usanza di inginocchiarsi davanti alla pietra dell’unzione del corpo di Cristo, baciarla e riporvi oggetti personali da benedire.
A poche centiania di metri ci attendevano altre suggestioni mistiche, come il Muro del Pianto, in ebraico il KOTEL, sacro agli Ebrei, che è quel che resta del Secondo Tempio di Gerusalemme, fatto distruggere dai Romani nel 70 d.C. Qui, quotidianamente, Ebrei da tutto il Mondo, si recano a pregare e a piangere letteralmente quella Caduta.
Uomini e donne sono separati nella preghiera, sono soliti infilare un bigliettino con una richiesta a Dio, tra le fessure delle pietre, al punto da trovare spesso difficile un posto per il proprio. Per rispetto alla sacralità del luogo, ci si allontana camminando all’indietro, senza mai voltare le spalle al muro.
Anche noi ci siamo separati e abbiamo vissuto, per una volta divisi nello spazio, ma uniti spiritualmente, un momento intenso anche senza essere di religione ebraica.
In questi giorni Ebrei e Cristiani stanno festeggiano ciascuno la propria Pasqua a distanza di meno di una settimana. Ci immaginiamo il fermento e l’intensità delle celebrazioni, proprio lì dove tutto è avvenuto. Col cuore siamo ancora lì tra quelle pietre color sabbia e quelle verdi colline ricoperte da ulivi e cipressi. E, proprio con l’augurio che gli ebrei della diaspora si scambiano da tempo immemorabile durante la festa di Pesach, la Pasqua ebraica, appena trascorsa, ci auguriamo di tornare… “l’anno prossimo a Gerusalemme”.
To be continued…
Bacini
I MURR
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