« Pensavano che anche io fossi una surrealista, ma non lo sono mai stata. Ho sempre dipinto la mia realtà, non i miei sogni. »
Torniamo a parlare di donne icona, questa volta di una a cui siamo particolarmente legati…non a caso è a lei che si è dichiaratamente ispirata Roberta per la copertina del nostro libro Vestiti con stile.
Negli ultimi anni Frida Kahlo ha ricevuto una crescente rivalutazione sul piano artistico e di conseguenza la sua attività di pittrice e la sua vita sono molto più conosciute al grande pubblico di quanto non lo fossero in passato. A dimostrazione di ciò anche un film, Frida, incentrato sulle sue travagliate vicende biografiche, interpretato dall’attrice messicana Salma Hayek.
Nacque nel 1907 in Messico. Talentuosa e fuori da ogni schema, ma già fin da bambina segnata da una malformazione congenita, la spina bifida, a 18 anni rimase vittima di un gravissimo incidente stradale che la segnò a vita, costringendola a numerosi interventi chirurgici e ad anni a letto col busto ingessato. Questa tragedia fu però determinante per la sua formazione sul piano artistico-culturale e politico. Iniziò infatti a dipingere e a leggere libri sul movimento comunista, del cui partito in Messico sarebbe diventata attivista in prima linea. Come pittrice partì dall’autoritratto, segnale di una continua ricerca di sé e in seguito anche al dono dei suoi genitori di un letto a baldacchino con specchio sul soffitto durante il periodo di riposo forzato.
Sottopose poi i suoi primi lavori a Diego Rivera, celebre pittore messicano dell’epoca che la introdusse sulla scena politica e artistica messicana e di cui lei si innamorò fino a sposarlo nel 1929.
Trascorse un periodo a negli Stati uniti tra New York e Chicago insieme al marito, chiamato per alcuni lavori che gli erano stati commissionati. Nel frattempo Frida rimase incinta e subì un aborto spontaneo, dovuto alle sue pessime condizioni fisiche che non la rendevano in grado di portare a termine una gravidanza.
Di ritorno in Messico, i due coniugi decisero di vivere in due case separate per coltivare in maniera autonoma ciascuno la propria vita da artista, tuttavia le due abitazioni erano collegate da un ponte. Il rapporto tra i due subì un’interruzione con un divorzio, ma poi Rivera, ancora innamorato della moglie, tornò da lei. Nel suo diario privato Frida racconta la sua storia travagliata con Rivera, ma anche dei numerosi tradimenti da parte di entrambi, e degli amanti di lei sia uomini (tra cui lo stesso André Breton) che donne ( ad esempio, Tina Modotti, militante comunista e fotografa nel Messico degli anni Venti).
Sul piano artistico, abbiamo detto che Frida iniziò a dipingere autoritratti. E non smise, infatti, dai suoi quadri vediamo dipinti e rivissuti i ricordi dei momenti drammatici della sua vita, o l’ossessiva ricerca e rappresentazione della propria immagine che porta con sé crudamente i segni di un corpo femminile sofferente e martoriato dal dolore. Ma non solo, perché la sua ricerca ebbe un’evoluzione tale per cui la pittrice non si limitò a rappresentare ricordi e immagini di sé, ma anche proiezioni del suo mondo interiore. Nelle suo opere si possono individuare uno stile naif, assimilato dal marito Rivera (riconoscibile i molti autoritratti ispirati all’arte popolare messicana e all’iconografia delle civiltà precolombiane), e l’influenza del movimento surrealista per la presenza di elementi fantastici e simbolici inseriti all’interno dei suoi quadri. Il suo talento, non a caso, fu riconosciuto Europa alla fine degli anni ’30, quando Bréton, poeta surrealista, vedendo i quadri di Frida, fu colpito dalla loro potenza visiva e dalla spontanea e quasi inconsapevole vicinanza al movimento. La definì infatti: “una surrealista creatasi con le proprie mani”. Pur influenzata, amando di esso “la magica sorpresa di trovare un leone nell’armadio, dove eri sicuro di trovare le camicie”, non se ne sentì mai veramente parte.
Quello che può essere considerato il suo lavoro più surrealista è “Ciò che l’acqua mi ha dato”: immagini di paura, sessualità, memoria e dolore galleggiano nell’acqua di una vasca da bagno, dalla quale affiorano le gambe dell’artista. In quest’opera così enigmatica sono chiari i riferimenti a Salvador Dalì, soprattutto per l’insistenza sui dettagli minuti
(fonte Wikipedia)
Con una gamba amputata pochi anni prima di morire (1954), la Khalo si congedò dalla vita con una frase che porta con sé insieme l’amarezza di una vita segnata dal dolore del corpo e il suo desiderio di liberarsene finalmente, oltre allo sguardo e allo spirito ironici che le consentirono una sopravvivenza nel mondo e una forma di comunicazione con esso e le generazioni a venire attraverso i suoi dipinti: “Spero che l’uscita sia gioiosa e spero di non tornare mai più.”
Bacini
I MURR
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