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ICON WOMEN – Marlene Dietrich

Blog / Fashion History / October 22, 2013

Insieme a Marlene Dietrich è nato in concetto di diva, che si è esteso in ICONA, tanto grandi sono stati il successo planetario riscosso, il lavoro sulla sua immagine fatto da lei stessa, insieme a von Stemberg, che per primo ne colse le straordinarie potenzialità di diva, e ai fotografi. L’impatto iconografico che l’attrice e cantante ha avuto nel mondo delle arti, della cultura e sulla società in generale l’ha resa leggendaria.

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Perché è della sua immagine così peculiare di diva, (a Hollywood contrapposta alla Garbo) femme fatale, sempre con la sigaretta in bocca, fiera, algida, dominatrice, personaggio androgino e dichiaratamente ambiguo nei gusti sessuali (e nella realtà, infatti, diversi furono gli amanti di entrambi i sessi), ma anche Madonna (intesa come Madre allo stato più puro e assoluto), di volta in volta plasmata o forzatamente replicata all’infinito film dopo film, che la Dietrich ha vissuto anche quando non girava film. Sette film che Von Stemberg, suo regista che la scoprì e che la portò al successo e col quale collaborò fino al 1936, per anni creò studiandoli e cucendoli su misura sul suo personaggio di diva, fino a farlo diventare un vero e proprio mito.

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Ad esempio:

In Marocco (1930), (primo film americano da lei interpretato e che la consacrò come stella di Hollywood a livello internazionale) venne ripresa dall’operatore Lee Garmes[9], che la seguì anche nei tre film successivi. La luce che creò per esaltare la sua immagine era un morbido flou, con luce da nord alla Rembrandt, in maniera da valorizzare i suoi zigomi. Le scene girate di notte inoltre erano illuminate come in pieno giorno. (…)  Secondo le lettere che essa scrisse al marito a proposito di Marocco, Sternberg giocò con la luce creando un’aureola con le punte dei capelli illuminati, scavando le sue guance con le ombre, ingrandendole gli occhi. Ma Marlene non era un soggetto passivo nelle mani del regista e dei collaboratori: anch’essa era un soggetto attivo nella creazione della sua immagine, dalla quale traspariva anche un forte autocompiacimento: accanto alla cinepresa essa faceva sempre sistemare un grande specchio semovente dove controllava la sua figura. Sternberg le scrisse: «Hai permesso alla mia macchina da presa di adorarti e a tua volta hai adorato te stessa» 

(fonte Wikipedia)

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Ma in America approdò grazie allo straordinario successo del primo film sonoro tedesco, che lei interpretò diretta da Von Stenberg nel 1929,  L’angelo azzurro. In questa pellicola, le cui scene sono entrate nell’immaginario collettivo, la Dietrich appare come una donna perversa e sensuale, anche grazie al suggerimento del regista che le consigliò di farsi togliere quattro molari e la mise a dieta ferrea per darle un aspetto più “drammatico”. Pensate che in quest’occasione fu lei stessa a disegnare i costumi. L’aspirante pianista, diplomata in canto all’Accademia di Berlino era appena diventata una star, secondo la stampa tedesca.

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La Dietrich, ormai naturalizzata americana, prosegui la sua carriera a Hollywood e la sua forza espressiva e professionalità sul set spiccavano sul contenuto delle pellicole in cui recitava. Nel 1934 arrivò a guadagnare 350.000 dollari l’anno, una cifra astronomica che la rendeva una delle persone più ricche degli Stati Uniti.  Il rapporto con Sternberg si era fatto però molto teso: entrambi si sfidavano continuamente e arrivavano ad aggredirsi verbalmente durante le riprese. La rottura definitiva avvenne nel 1935, soprattutto per volontà di lui. La sua immagine comunque restò ancorata, l’abbiamo detto,  a quella creata dal regista tedesco, ma si espanse maggiormente a livello mediatico.

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Ottenuta la cittadinanza americana con gli Stati Uniti collaborò durante la seconda guerra mondiale, lei, tedesca, figlia di un ufficiale prussiano, schierata apertamente contro il nazismo, e dal 1944 tenne spettacoli di intrattenimento per le truppe americane e portando la sua arte in Nord Africa e in Europa negli ospedali da campo: cantava con testo in inglese – e con indosso un’uniforme di sua creazione – la canzone tedesca Lili Marleen, che sarebbe poi diventata il suo inno.

Dal 1954, quando la carriera cinematografica era in declino, su consiglio del commediografo Noel Coward, che ne fu l’organizzatore, si esibì in spettacoli in cui cantava le canzoni dei suoi film ed intratteneva il pubblico con monologhi estemporanei. Lo show fu portato in giro per tutto il mondo con grande successo e con lauti compensi.

Ma alla fine degli anni cinquanta diede ancora due grandi prove d’attrice nei classici Testimone d’accusa di Billy Wilder e L’infernale Quinlan di Orson Welles.

Per far capire la forza senza tempo del suo fascino conturbante basta rileggere ciò che di lei dissero:

  • “Se non fosse in possesso di nient’altro che della voce, ti spezzerebbe ugualmente il cuore  con questa. Ma ha questo corpo stupendo e quel viso amabile senza tempo. Non importa come ti spezza il cuore se lei è li per guarirtelo.”
    Ernest Hemingway
  • “Resta quello che è stata per molti anni- un delizia assolutamente unica, il cui dono si rivela nelle sue performance di attrice. La sua unicità non è legata ad un tempo specifico e non dipende dalla moda del momento e nemmeno dal senso comune.
    Cecil Beaton
  • “Chiunque la conosca ha avuto modo di fare esperienza di lei come della perfezione stessa.”
    Jean Cocteau
  • La donna più intrigante  e affascinante che abbia mai conosciuto
    John Wayne

APPUNTI DI STILE

In fatto di stile amava, precorse i tempi, persino Yves Saint Laurent, indossando abiti di taglio maschile, alternando frac e cilindro (oltre a blazer morbidi o strutturati su pantaloni morbidi , camicie gilet e cravatte su scarpe), in un mood decisamente mannish, che enfatizzavano il suo aspetto androgino, ad abiti più femminili e sensuali e boa di piume, da femme fatale conturbante quale era l’altra faccia del suo personaggio.

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Avete visto com’è super attuale il suo mood ANDRO CHIC tanto di tendenza in questa stagione?

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Bacini

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